Le bioplastiche, alla stregua delle oxo-degradabili, non saranno la scappatoia per uscire dalla SUP.
A ridosso dell’entrata in vigore della direttiva 2019/904 sulle plastiche monouso (direttiva SUP), prevista per il 3 luglio, il quadro mediatico italiano non ha tardato a portare all’attenzione del pubblico i malumori di un settore che aveva espresso le sue rimostranze già dal giugno 2019, quando veniva pubblicata la nota direttiva che ha imposto agli Stati membri importanti limiti alla produzione di articoli in plastica con singolo impiego. Fa notizia oggi parlare di plastica e fa notizia la diffusione delle Linee Guida della Commissione Ue sulla corretta comprensione e uniforme applicazione della direttiva.
A complicare uno scenario già problematico, si aggiunge un tributo tutto italiano introdotto con la legge 160/2019, su impulso della stessa direttiva 2019/904, che andrà a colpire la produzione di MACSI - manufatti a singolo impiego, già oggetto della citata direttiva SUP. Questi saranno tassati a partire dal 1° gennaio 2022 al prezzo di 0,45 euro/ton, alimentando ulteriormente lo scontento di un settore che teme di non saper incassare il duro colpo che la Commissione europea da una parte, e la Plastic Tax dall’altra, avranno sui conti delle imprese. Infine, ma non da ultimo, altre ombre oscurano questo scenario di preannunciata crisi, generate dalle prime riflessioni sull’efficacia della Plastic Tax che, con riferimento al suo meccanismo di prelievo, offrirebbe il fianco alla tristemente nota pratica delle “frodi carosello”.
In vista quindi della prossima entrata in vigore della direttiva SUP al 3 luglio 2021, il 31 maggio la Commissione Ue ha pubblicato un documento di indirizzo interpretativo per la corretta applicazione da parte degli Stati membri della direttiva 2019/904 Ue sugli articoli monouso.
Le Linee Guida della Commissione fanno chiarezza su molti aspetti oggetto di accese discussioni sui tavoli europei e lasciano poco spazio a ipotesi alternative. Prima fra tutte, la definizione di plastica che rientra nell'ambito di applicazione della direttiva. Per quanto riguarda il nostro Paese, l’interpretazione Ue determina una forte incongruenza con le disposizioni della Legge italiana di recepimento che hanno escluso le plastiche biodegradabili e compostabili dai divieti europei.
In particolare, la definizione di plastica che viene richiamata nella direttiva ripropone quella utilizzata nel Regolamento REACH e recita: “material consisting of a polymer as defined in point (5) of Article 3 of Regulation (EC) No 1907/2006, to which additives or other substances may have been added, and which can function as a main structural component of final products, with the exception of natural polymers that have not been chemically modified”. Ai sensi della direttiva, la definizione di plastica comprende quindi i materiali costituiti da un polimero cui possono essere stati aggiunti additivi o altre sostanze, e che possono funzionare come componenti strutturali principali dei prodotti finiti, a eccezione dei polimeri naturali che non sono stati modificati chimicamente.
Saranno esenti dall’applicazione delle restrizioni previste dalla direttiva SUP i polimeri naturali e quelli che non sono stati modificati chimicamente. Su questo aspetto, la direttiva precisa che: “Unmodified natural polymers, within the meaning of the definition of ‘not chemically modified substances’ in point 40 of Article 3 of Regulation (EC) No 1907/2006…, should not be covered by this Directive as they occur naturally in the environment”.
In quanto non presenti in natura, “Plastics manufactured with modified natural polymers, or plastics manufactured from biobased, fossil or synthetic starting substances are not naturally occurring and should therefore be addressed by this Directive. The adapted definition of plastics should therefore cover polymer-based rubber items and bio-based and biodegradable plastics regardless of whether they are derived from biomass or are intended to biodegrade over time”.
L’interpretazione fornita dalla Commissione Ue è lapidaria:
- Si salvano i polimeri naturali, ossia i polimeri presenti in natura e non modificati, quelli che derivano da un processo di polimerizzazione che ha avuto luogo in natura, indipendentemente dal processo di estrazione utilizzato. Sono polimeri naturali non modificati, la cellulosa e la lignina estratte dal legno, o l'amido di mais ottenuto mediante macinazione a umido e soddisfano la definizione di polimero naturale. Diversamente, i polimeri prodotti tramite un processo di fermentazione industriale come il PHA non devono essere considerati polimeri naturali poiché la polimerizzazione non ha avuto luogo in natura.
- Ai sensi della direttiva, le plastiche biodegradabili e compostabili vengono assimilate alle plastiche oxo-degradabili, in quanto non risultano essere polimeri naturali non modificati chimicamente, quindi risultano compresi nella direttiva. Per essere identificato come polimero "non modificato chimicamente", la struttura chimica deve essere inalterata, "anche se ha subito un processo o un trattamento chimico, o una trasformazione mineralogica fisica, ad esempio per rimuovere le impurità". Così, la cellulosa rigenerata, sotto forma di viscosa, lyocell e film cellulosico, non è considerato un polimero chimicamente modificato (in quanto il polimero ottenuto non risulta chimicamente modificato rispetto a quello d’origine), mentre lo è l'acetato di cellulosa (la modifica chimica della cellulosa durante il processo produttivo continua a rimanere al termine del processo produttivo). La carta è esclusa, purché l’articolo non abbia un rivestimento in plastica.
Devono quindi sottostare ai dettami della direttiva i polimeri biodegradabili e compostabili in quanto costituiti da polimeri naturali modificati chimicamente.
Tale interpretazione risulta in contrasto con la Legge 22 aprile 2021, n. 53 - che prevede la delega al Governo per recepire nell’ordinamento italiano la direttiva SUP - e che ammette l’impiego di articoli monouso in plastica biodegradabile qualora "non sia possibile l'uso di alternative riutilizzabili ai prodotti di plastica monouso destinati ad entrare in contatto con alimenti elencati nella parte B dell'allegato…consentendone l’immissione nel mercato qualora realizzati in plastica biodegradabile e compostabile certificata conforme allo standard europeo della norma UNI EN 13432 e con percentuali crescenti di materia prima rinnovabile” (articolo 22, lett. c), legge 22 aprile 2021, n. 53).
Anche nella sezione online della Commissione dedicata alle Q&A, viene ribadito che le bioplastiche sono incluse nella direttiva: “La plastica biodegradabile/a base organica è considerata plastica. Attualmente non esistono norme tecniche ampiamente condivise per certificare che un determinato prodotto di plastica sia adeguatamente biodegradabile nell’ambiente marino in un breve lasso di tempo e senza causare danni all’ambiente”.
Costituiscono un’apertura all’impiego delle plastiche biodegradabili e compostabili le ipotesi di revisione della direttiva previste nel 2027. “Trattandosi di un settore in rapida evoluzione, la revisione della direttiva nel 2027 comprenderà una valutazione dei progressi tecnici e scientifici compiuti sul versante dei i criteri o una norma di biodegradabilità in ambiente marino applicabile ai prodotti di plastica monouso”. Quanto ai prodotti in carta che presentino percentuali variabili di plastica, già nel 2019 quando la direttiva fu approvata questi erano stati considerati come prodotti di plastica. Le recenti linee guida non sono intervenute a questo riguardo. Altre ipotesi di innovazione sul futuro impiego delle plastiche biodegradabili sono previste dal nuovo piano d'azione per l'economia circolare (Circular Economy Action Plan). In base alle future valutazioni delle applicazioni in cui l’impiego delle plastiche biodegradabili potrebbe essere vantaggioso per l’ambiente, la Commissione, già nel 2022, ha in programma di sviluppare un quadro di riferimento aggiornato sull’uso delle plastiche biodegradabili.
Altro punto controverso riguardava il contenuto minimo di plastica negli articoli. Su questo aspetto non vi è alcun riferimento nel documento interpretativo della Commissione ad alcun limite minimo consentito, al di sotto del quale l’articolo non rientrerebbe nello scopo della direttiva. Vengono citati, non a caso, i bicchieri di carta dotati di coating in plastica con funzioni barriera o i poliaccoppiati per bevande (tetrapak), tutti ricadenti negli articoli oggetto di vincolo. Differentemente, l'eventuale presenza di additivi, leganti o coadiuvanti di processo polimerici aggiunti in materiali non plastici non viene considerata ai fini dell'ambito di applicazione della direttiva.
Quanto al concetto di “monouso”, la Commissione chiarisce che al fine di non essere considerato “monouso”, non debba esserci alcun dubbio, anche nella percezione del consumatore, che l’articolo in questione sia stato progettato pensato e prodotto per prevedere usi multipli e ripetuti. Per essere riutilizzabile, l’articolo non deve perdere funzionalità o capacità fisiche in funzione dei molteplici usi. Deve essere lavabile e riparabile e la composizione del materiale deve essere tale da consentire più utilizzi per lo stesso scopo per il quale l'articolo è stato originariamente concepito. Per gli imballaggi, la sua natura riutilizzabile può essere determinata se l’articolo risulta conforme ai requisiti previsti dalla direttiva sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio.
Le Linee Guida chiariscono anche altri aspetti non meno importanti, come la giusta collocazione dei dispositivi di protezione individuale quali mascherine e guanti monouso, che non rientrano nella direttiva; esempi delle tipologie di contenitori per uso alimentare che rientrano o meno nell'ambito di applicazione delle restrizioni alla messa in commercio; la precisazione che, in caso di contrasto, la direttiva SUP prevale sulla direttiva Imballaggi.