Per il mondo del food, e in particolare dell’ortofrutta, l’impatto del voto sul Regolamento Packaging ha un peso considerevole, specialmente se si parla di export e di spreco alimentare, due aspetti poco considerati nel dibattito istituzionale di ispirazione green che anima da mesi il settore del confezionamento. M. Costanza Candi.
Per comprendere le sfumature di un “ecologismo radicale” che non considera tutte le complesse componenti in campo, ItaliaImballaggio ha incontrato Simona Caselli, che occupa due ruoli istituzionali in settori strategici come ortofrutta e lattiero caseario. Nella doppia veste di Presidente di Granlatte (la cooperativa agricola parte della holding Granarolo S.p.A) e di Areflh (l’associazione che riunisce in assemblea le regioni europee e gli stakeholder del comparto ortofrutta), ci offre infatti un punto di vista di respiro internazionale - e interno alle Istituzioni Europee - su due settori di mercato strategici per il F&B.
AREFLH è un’associazione che include produttori agricoli e Regioni, cioè gli enti che governano la gestione dei rifiuti» esordisce Caselli. «La nostra è quindi una posizione mediata, dove prevale l’esigenza di un regolamento condiviso a livello Europeo seppur con distinguo fondamentali. Abbiamo ad esempio fatto notare che alcuni aspetti del nuovo Regolamento fossero a tutti gli effetti ingestibili per il settore ortofrutta. Penso alle pesche, che non sono trasportabili con adeguate garanzie di conservazione senza il packaging attuale, o alle pere frutto molto delicato che richiede cautele particolari per un trasporto che ne preservi le qualità. Per ovviare ai vincoli legati alle caratteristiche del prodotto, il settore lavora molto sull’innovazione dei materiali di confezionamento - tra plastica, carta, cartone e plastiche bio-compostabili - tema su cui peraltro c’è discordanza di vedute per la diversa nozione che ogni Paese ha dello stesso concetto. Ma se penso allo studio sui materiali, non posso che rilevare una straordinaria dinamicità, come nel caso del brevetto italiano di SSICA, che ha sviluppato una “bio-lattina” per pelati verniciata internamente con un impermeabilizzante derivato proprio dalla pellicola esterna del pomodoro stesso. Si tratta di un esempio di circolarità, innovazione e ingegno made in Italy, espressione della necessità di trasformare gli scarti in risorsa: tema centrale per l’ortofrutta, sempre alla ricerca di soluzioni per rendere i contenitori efficienti per l’export ma anche sostenibili.
Sostenibilità a dispetto di conservazione, salute e spreco alimentare
Il concetto di compostabilità, in questo senso, è un caso emblematico perché ha fatto emergere delle differenze significative nell’approccio degli Stati Membri, dove assume significati diversi in base alle applicazioni. In nord Europa, infatti, le compostiere domestiche sono molto diffuse, mentre nel sud per compostabilità si intende in prevalenza un processo industriale pronto ad accogliere materiali e oggetti impossibili da processare a casa. Questo tema, apparentemente non centrale, ha rischiato di condizionare fortemente anche settori produttivi come la floricoltura, dove i vasi, indispensabili sia per l’irrigazione che per il trasporto, sono stati trattati come packaging monouso in plastica.
Il rischio - prosegue Caselli - è stato quindi quello di vedere fiori senza vaso o in contenitori bio-compostabili che si decompongono, rendendone di fatto impossibile sia il trasporto che lo stoccaggio.
Questi due esempi, oltre a offrire uno spaccato della varietà di settori toccati e della complessità del PPWR, spiegano di cosa parli Caselli quando accenna a fondamentali distinguo. Su questo, soprattutto per il suo ruolo europeo in Areflh, ha cercato di guidare il dibattito nella giusta direzione, incontrando la DG ENVI poche settimane dopo la presentazione del provvedimento, per mettere in evidenza le problematiche tecniche specifiche del settore ortofrutticolo e dell’agroalimentare in generale, impegnandosi attivamente durante l’iter del provvedimento in Parlamento e in Consiglio UE.
Anche sulle monoporzioni di burro e miele si sono viste posizioni improbabili; si tratta infatti di due prodotti che, per ragioni igieniche e di conservazione, nel caso di strutture ricettive e ristoranti non possono che essere serviti in monoporzioni» afferma Caselli. «Questo a dispetto del forte impegno di Conapi verso la produzione di imballaggi in cera, che sono stati riammessi dal Parlamento UE dopo essere stati inseriti erroneamente tra i packaging tradizionali. Altro paradosso dell’impostazione cosiddetta green del Regolamento è l’assimilazione dell’olio alle bevande, con tutte le limitazioni di confezionamento del caso, su cui Areflh ha sollevato le dovute obiezioni riportando la situazione alla giusta prospettiva.
Il racconto di Simona Caselli, che vede la situazione dall’interno di un settore specifico e molto legato alle proprietà più importanti del packaging - protezione della shelf life, riduzione dello spreco, sicurezza del consumatore - rende evidente come il presunto ambientalismo non tenga in considerazione la sostenibilità complessiva di un provvedimento che, come ricordano le Nazioni Unite, impone attenzione all’ambiente, all’economia e alla società, considerati in uguale misura.
I rischi, tra orientamento parlamentare e spinte nazionali
Guardando ai prossimi passi - prosegue Caselli - va evitato il rischio di stravolgere gli orientamenti del Parlamento europeo che, con il suo voto, ha corretto il forte sbilanciamento sul riuso di alcuni Paesi, tra cui la Germania, e l’impostazione di preesistenti normative di Francia e Spagna che già avevano introdotto divieti di imballaggio per l’ortofrutta sotto 1,5 kg. Sebbene sia caratterizzata da elevatissimi volumi di export, l’ortofrutta spagnola sta scontando in questo ambito la dicotomia tra mondo produttivo e posizioni del Governo. Con il Regio Decreto del 2021, infatti, l’esecutivo ha legiferato con iter accelerato promulgando una legge che ha creato conseguenze pesanti su uno dei suoi settori più produttivi e dinamici, con gravi ripercussioni su performance, occupazione e capacità di esportare, peraltro auspicata dall’Unione Europea. Gli effetti della norma spagnola sono poi stati sospesi su richiesta della Commissione UE, in attesa dell’esito dell’iter del nuovo regolamento europeo PPWR.
E prosegue:
Diverso il caso della Francia, che ha legiferato nel 2020, per cui i francesi nel frattempo si sono riorganizzati, pur rimanendo abbastanza distanti dalla discussione su questo dossier. La Francia peraltro è un paese che esporta meno di Spagna e Italia perché produce in prevalenza per il mercato interno.
Uno sguardo all’attualità è inevitabile, visto che proprio il 18 dicembre si è tenuta una seduta che ha rivisto quanto definito in sede parlamentare (per approfondimenti in merito rimandiamo a "PPWR: il voto degli Stati vanifica gli sforzi del parlamento").
Su questo punto, Simona Caselli precisa:
Dopo il voto dei Ministri dell’Ambiente in seno al Consiglio UE del 18 dicembre, che ha riportato indietro la discussione verso il testo proposto dalla Commissione e ignorato i miglioramenti apportati dal Parlamento europeo, siamo tornati a una grande incertezza sul testo finale della normativa, visto che ai Triloghi andranno due testi molto diversi e non sarà facile trovare una mediazione.
Personalmente sono abbastanza pessimista, perché mi ha molto colpito l’indisponibilità del Consiglio degli Stati Membri ad ascoltare le garbate e concrete osservazioni del settore ortofrutticolo, preoccupato soprattutto di vedere aumentare in modo cospicuo lo spreco alimentare. Un esito inevitabile vista l’impossibilità di utilizzare imballaggi adeguati, dovendo far fronte a una ingestibile frammentazione del mercato interno a causa della “flessibilità” lasciata agli stati membri. Questo aspetto, più volte richiamato dal testo del Consiglio UE, comporta che ogni Stato potrebbe definire liste diverse di prodotti esentati dai divieti della nuova normativa. Una dinamica inconciliabile coi principi base del processo legislativo comunitario in materia di mercato interno, tutti volti alla necessità di evitare frammentazione e di garantire invece normative omogenee per gli operatori economici dell’Unione europea. Mi auguro che in vista dei Triloghi si rifletta molto attentamente su uno scenario che, sulla base delle deroghe nazionali accordate dal testo del Consiglio, renderebbe la vita di fatto impossibile agli esportatori.
Gli yogurt come le bevande analcoliche?
Non può mancare infine un’annotazione specifica sul mondo dairy, che non è certo escluso dalla complessità del tema packaging vista la dimensione strategica che conservazione del prodotto, shelf life, salute e sicurezza del consumatore rappresentano per il settore.
Se prendiamo in esame il lattiero caseario - conclude Caselli - il Regolamento Packaging impatta soprattutto sulle monoporzioni, come nel caso del burro per l’Horeca o degli yogurt da bere, assimilati di fatto alle bevande analcoliche e quindi sottoposti a restrizioni e regole davvero incomprensibili per la tipologia di prodotto. Anche in questo caso il Parlamento aveva apportato importanti correttivi e si rischia di ritornare daccapo dopo il voto del Consiglio.