Dopo la Cina anche la Turchia chiude all’importazione dei rifiuti in plastica

Lo stop alle importazioni di scarti in plastica nel territorio turco si aggiunge alle politiche nazionali di impegno verso la regolazione della materia ambientale.

L’ultima riunione del 6 maggio 2021 del Mediterranean Advisory Board, accordo trasversale fra le Associazioni dei produttori di materia prima-plastica dell’area centro-europea, ha dato la possibilità a Pagev, l’Associazione turca di settore, di evidenziare quali siano i futuri programmi nazionali rivolti a una maggior attenzione alle problematiche ambientali. Anche la Turchia si dovrà confrontare con una più oculata gestione dei rifiuti, puntando su quelle che già l’Europa ha individuato come le pratiche più efficaci per contrastare l’inquinamento. Spetta all’Environmental Agency turca il compito di coordinare il National Action Plan for Waste Management 2023 che prevede iniziative come l’implementazione di schemi obbligatori di deposito e restituzione degli imballaggi per bevande, in programma per il 1° gennaio 2022 o il contributo al riciclo, avviato nel 2020 che coinvolge prodotti come i sacchetti di plastica, prodotti in gomma, accumulatori, batterie, imballaggi, rifiuti elettrici ed elettronici ecc..

Il piano nazionale per la gestione dei rifiuti 2023 prevede anche un innalzamento della quota di riciclo dei rifiuti nazionale al 35%, programmi ambientali nel settore agricolo improntati sul raggiungimento dello “zero waste” nella produzione delle colture nazionali, schemi di riciclo delle reti da pesca nell'ambito del progetto "Black Sea" che vede la collaborazione fra Pagev e Plastics Europe, forum tematici, collaborazioni con la Camera di commercio turca per una revisione della legislazione ambientale.

Non da ultimo, con un emendamento pubblicato il 18 maggio in Gazzetta Ufficiale, il Ministero del Commercio turco ha bandito l’importazione di scarti in polietilene nel territorio turco. Il divieto, che entrerà in vigore dopo 45 giorni dalla pubblicazione, arriva in seguito a un’indagine condotta da Greenpeace UK che ha fatto luce sulle importazioni di rifiuti in Turchia da parte di paesi europei, soprattutto Regno Unito e Germania.

Il duro Report pubblicato da Greenpeace il 17 maggio ha richiamato l’attenzione internazionale su pratiche di smaltimento illegali attorno alla città di Adana, nel sud della Turchia. Le foto scattate mostrano impressionanti accumuli di rifiuti plastici di cui, grazie ai marchi bene impressi sugli imballaggi, è stato piuttosto facile individuare la provenienza. Montagne illegali di buste, bicchieri da asporto e confezioni per alimenti provenienti da alcune delle catene di supermarket più diffuse nel Regno Unito (Lidl, M&S, Sainsbury’s and Tesco) e in Germania (Lidl, Aldi, Edeka, Rewe), ma anche in altre parti d’Europa. Fino a soli cinque anni fa, come si legge sul report di Greenpeace, la Turchia era solo un attore minore sul mercato globale dei rifiuti. Ma dopo l’epocale divieto di import di rifiuti da parte di Pechino, entrato in vigore nel 2018, per i paesi europei la Turchia è diventata la nuova Cina.

Solo per il Regno Unito, gli scarti di plastica esportati su territorio turco sono passati da 12mila tonnellate nel 2016 a 210mila tonnellate nel 2020, ovvero il 40% di tutto l’export di rifiuti plastici targato UK. E a peggiorare la situazione, per circa la metà si tratta di materia plastica mista, ovvero estremamente difficile da riciclare. Anche il resto d’Europa comunque non fa mancare il suo contributo: in tutto, circa 241 camion di plastica vengono scaricati in Turchia ogni giorno, venti volte di più rispetto al 2016. Una pratica che, oltretutto, secondo la Convenzione di Basilea firmata dai paesi membri dell’UE e secondo le leggi britanniche sarebbe illegale, visto che i rifiuti vengono inviati su un territorio in cui non ci sono le condizioni per il loro riciclo (il tasso di riciclo della Turchia ad oggi è solo del 12%).