Il 28 luglio 2021 il Comitato interministeriale per la transizione ecologica si è riunito per la seconda volta dalla data del proprio insediamento nel marzo del 2021 per discutere il Piano nazionale per la transizione ecologica.
Il Comitato interministeriale per la transizione ecologica è stato istituito dall’articolo 4 del Decreto-legge 1° marzo 2021, n. 22 “Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni dei Ministeri”, con il compito di assicurare il coordinamento delle politiche nazionali per la transizione ecologica e la relativa programmazione.
Con un documento 161 pagine il Comitato Interministeriale per la Transizione Ecologica (CITE), ha approvato il 28 luglio 2021 la Proposta di piano per la transizione ecologica in cui vengono delineati 5 macro-obiettivi, con la priorità della neutralità climatica al 2050.
Il documento intende fornire un inquadramento generale della strategia per la transizione ecologica, dare un quadro concettuale che accompagni gli interventi del piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e promuovere una riflessione su questi temi di grande impatto culturale, tecnologico e socio-economico.
La proposta di Piano contiene l’individuazione degli obiettivi generali, del percorso metodologico e dei target da raggiungere. Individua un primo set di indicatori, condivisi anche a livello internazionale ed europeo, che costituiranno il riferimento essenziale per la valutazione delle azioni previste.
Gli obiettivi generali da raggiungere sono coerenti con gli impegni internazionali ed europei e hanno nel 2030 il limite temporale, con un orizzonte al 2050.
La Proposta di piano si articola su cinque macro-obiettivi condivisi a livello europeo:
- neutralità climatica;
- azzeramento dell’inquinamento;
- adattamento ai cambiamenti climatici;
- ripristino della biodiversità e degli ecosistemi;
- transizione verso l’economica circolare e la bioeconomia.
A quest’ultimo proposito, il Piano richiama l’urgenza di passare da un modello economico lineare a un modello circolare, ripensato in funzione di un modello di produzione additiva, in modo da permettere non solo il riciclo e il riuso dei materiali ma anche il disegno di prodotti durevoli, improntando così I consumi al risparmio di materia e prevenendo alla radice la produzione di rifiuti. Eliminare al contempo inefficienze e sprechi e promuovere una gestione circolare delle risorse naturali e degli scarti anche in ambito agricolo e più in generale dei settori della bioeconomia.
Otto gli ambiti di intervento previsti, per i quali verranno costituiti appositi gruppi di lavoro.
- decarbonizzazione;
- mobilità sostenibile;
- miglioramento della qualità dell’aria;
- contrasto al consumo di suolo e al dissesto idrogeologico;
- miglioramento delle risorse idriche e delle relative infrastrutture;
- ripristino e rafforzamento della biodiversità;
- tutela del mare;
- promozione dell’economica circolare, della bioeconomia e dell’agricoltura sostenibile.
La promozione dell’economia circolare, così come prospettata nel Piano, pone il 2030 come orizzonte temporale per:
- creare le condizioni per un mercato delle materie prime seconde competitive in termini di disponibilità, prestazioni e costi, agendo sulla normazione dei materiali, e sui criteri per togliere la qualifica di rifiuto a tali prodotti (“End of Waste”).
- mettere in pratica il principio di Responsabilità estesa del produttore perché si faccia carico del destino finale del prodotto, così come del principio del “Chi inquina paga” (con schemi di vuoto a rendere, pay-per-use, pay-as-you-throw, in modo da per favorire il mercato del riuso e la restituzione dei prodotti ai gestori privati in cambio di un contributo economico).
- sviluppare una fiscalità favorevole alla transizione verso l’economia circolare, da realizzarsi sia con la graduale eliminazione dei sussidi dannosi all’ambiente, sia con forme positive di incentivazione delle attività di riparazione dei beni, sia per una loro progettazione più sostenibile.
- porre le condizioni per l’estensione della durata del prodotto attraverso una sua progettazione ispirata ai principi di modularità e riparabilità. In questa direzione vanno le proposte commerciali di condivisione (sharing) e di noleggio (pay per use) che indicano lo spostamento dalla proprietà individuale del bene alla sua fruizione come servizio.
- potenziare ricerca e sviluppo nel settore dell’eco-efficienza, migliorare la tracciabilità dei beni e risorse nel loro ciclo di vita, così come integrare e rafforzare gli indicatori per misurare il grado di circolarità dell’economia secondo le metodologie del Life Cycle Assessment, il Carbon Footprint e, in una logica di valutazione dell’economicità di processo, attraverso i Key performance indicators (KPI) che permettono di considerare in modo unitario le fasi chiave dell’economia circolare: acquisto, produzione, logistica, vendita, uso e fine vita.
- progettare nuovi programmi di educazione al consumo e di formazione interdisciplinare alla figura di esperto di economia circolare, con il parallelo sviluppo di impianti e accordi pubblico-privato per lo sviluppo imprenditoriale in questo nuovo settore.
Per l’Italia, evidenzia la proposta di Piano, la transizione ecologica non ha alternative, ma rappresenta anche un’opportunità unica ed indifferibile. Il Paese ha un patrimonio esclusivo da proteggere, culturale e naturale, che troppo sta soffrendo in termini di depauperamento e danneggiamento. L’Italia è l’unica nazione al mondo a poter vantare 55 siti UNESCO e ha il maggior numero (58.000) di specie animali in Europa. È però anche maggiormente esposta a rischi climatici, con 3 milioni di nuclei familiari che vivono in aree ad alta vulnerabilità, 40 aree costiere a rischio e un calo del 28% di terreni coltivati negli ultimi 25 anni. Il sistema-Italia registra storicamente un tasso di dipendenza del suo fabbisogno energetico vicino al 90%, una domanda di energia soddisfatta principalmente da fonti fossili tradizionali come petrolio e gas, mentre i vantaggi energetico-ambientali (un irraggiamento solare superiore del 30-40% rispetto alla media europea) sono stati ostacolati da difficoltà autorizzative che hanno frenato gli investitori e la crescita del settore. Rendere l’Italia più sostenibile vuol dire stimolare tutte le forze attive del Paese a innovare, sviluppando nuove conoscenze e capacità che potranno poi essere esportate con successo creando benefici diffusi, anche in termini occupazionali. Per le imprese, inoltre, il processo di transizione può tradursi in un nuovo valore aggiunto: sostenibilità per la competitività.
Sulla Proposta di piano verrà acquisito il parere della Conferenza unificata e delle competenti Commissioni parlamentari. Successivamente il Piano sarà approvato in via definitiva dal CITE.
Testo completo della Proposta di Piano per la Transizione Ecologica